Kyoto, anni Cinquanta. Sotto un bellissimo parasole di carta,
un’elegantissima donna abbozza un sorriso al fotografo; a lei cerca di
stringersi una bambina dall’aria curiosa. Sotto il suo bel kimono a
fiori, spuntano appena i piedini intrecciati in segno di timidezza. Da pochi mesi, Masako – così si chiama la piccola – ha lasciato di sua volontà, sebbene a malincuore, la propria casa per trascorrere gli anni a venire in un’okiya, la tradizionale residenza delle geiko (come si autodefiniscono le geisha) e delle maiko (le apprendiste): ignora del tutto che ben presto diventerà una delle donne più ammirate dell’intero Giappone,
a costo però di enormi sacrifici. Non soltanto la bimba è costretta ad
adattarsi a uno stile di vita alquanto duro, ma è tenuta a rinunciare
alla propria famiglia, mutando persino il proprio nome in Mineko e il
cognome in Iwasaki (tratto dalla madre adottiva).
La sua storia è raccontata per la prima volta in un volume da poco uscito in Italia, Storia segreta di una geisha, curato da lei stessa, Mineko Iwasaki, ora rispettabile signora di mezza età, e dalla sua biografa Rande Brown (trad. a cura di Alessandra Mulas, Newton & Compton, pp. 318, € 9,90; in offerta su Amazon.it cliccando qui
a € 8,42 in formato cartaceo e 4,99 in ebook). Sebbene non sia
esplicitamente affermato, oltre che per gettare luce sul mondo delle geiko, spesso ritenute a torto prostitute o mere dame di compagnia, il libro vuole contrapporsi al best seller Memorie di una geisha di Arthur Golden, il quale, infrangendo gli accordi, avrebbe menzionato la Iwasaki (sua informatrice) più volte sia nell’opera, sia in alcune interviste, contrariamente alla volontà di lei, e distorto alcuni aspetti della vita delle geiko.
Sin dalle prime pagine dell’autobiografia della donna, l’indole
romanzesca e patetica – che molto ha colpito i lettori dello scrittore
americano – è bandita: il “mondo del fiore e del salice” (karyukai), ossia quello dei quartieri di piacere (di natura estetica, non sessuale), si mostra ben presto tanto seducente quanto logorante.
Designata da Oima, la padrona della okiya, sua unica erede, Mineko già dalla più tenera infanzia si impegna per raggiungere il sucesso:
come racconta in dettaglio, le sue giornate sono scandite dall’intenso
studio della danza e della musica, dalle fatiche domestiche e da
esercitazioni continue in tutte quelle arti (quali la calligrafia e la
cerimonia del tè) che un giorno la renderanno una perfetta geisha. Il carattere combattivo e la tenacia la spingono anche a battersi per i diritti e la dignità delle geiko, malgrado attorno a sé cresca l’ostilità scatenata dalla sua bellezza.
Consacrando la vita alla danza – unica attività
capace di alleviare il dolore per l’allontanamento dai genitori e le
sofferenze causatele delle rivali -, in virtù della sua grazia e della
sua caparbietà, la ragazza diviene un’invidiabile maiko e, poco tempo dopo, la geisha più desiderata e ricca di tutto l’arcipelago nipponico. Ma la vera felicità è ancora lontana.
Pagina dopo pagina, la Iwasaki ci conduce a Kyoto tra i vicoli di Gion (il distretto delle geisha per eccellenza), nelle ochaya (letteralmente le stanze del tè, sedi dei banchetti con gli ospiti), nel cuore dei matsuri (festival tradizionali) e nelle camere più intime delle okiya, in cui le artiste possono finalmente essere semplici adolescenti che
scherzano tra loro o attendono impazienti il vero amore. Oltre a farci
sorridere con buffi aneddoti (in cui, a dire il vero, i reali inglesi
non danno il meglio di sé), Mineko ci svela con dovizia di particolari le consuetudini e i trucchi del suo mestiere,
tenuti segreti per intere generazioni, alternando una narrazione
romanzesca a una più saggistica e tecnica, senza mai perdere vigore.
[Tratto da: www.bibliotecagiapponese.it ]
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